mercoledì 11 settembre 2013

VISIONI CALDE#02: KILLER JOE di William Friedkin


William Friedkin, è bene ricordarlo, oltre ad essere il regista di quel fenomeno horror socio-culturale che porta il nome de L'Esorcista è anche (o forse soprattutto) il regista di Vivere e Morire a Los Angeles, splendida pellicola del 1985 nella quale un agente dei servizi segreti interpretato da William Pettersen arrivava a infrangere i suoi principi etici per salvare la vita di qualcuno che gli stava a cuore.
Killer Joe mette in scena lo stesso dilemma interiore ma lo allarga a tutti i personaggi di questa grottesca farsa noir intrisa di contaminazioni pulp e iconoclastia anti-classica, intesa come progressiva distruzione di tutti quei capisaldi che fanno del cinema di genere americano, il miglior cinema di genere del mondo: nel raccontare la storia di Chris, un giovane spacciatore di droga che deve trovare al più presto un'ingente somma di denaro per saldare un debito, Friedkin ci mostra un'America sporca e cattiva, ma invece di soffermarsi sui potenzialmente facili indugi estetici che le ambientazioni di periferia degradata gli avrebbero concesso, ci lascia trasportare dai dialoghi assurdi ma ricercatissimi, inserendoli all'interno di un telaio registico pulito e mai virtuosistico, quasi scolastico ma mai fastidioso.
Per ottenere i soldi Chris decide di uccidere la madre e incassare l'assicurazione sulla vita della donna e d'accordo con tutta la famiglia, ingaggia il poliziotto Joe Cooper, detto Killer Joe, che si guadagna da vivere lavorando come sicario. Ma quando il sicario chiede un pagamento anticipato che Chris e la sua famiglia non possono pagare, Killer
Joe fa un'offerta al ragazzo; terrà in custodia Dottie, la sorella autodefinitasi dodicenne, ma la cui vera età è ben maggiore, come caparra sessuale finché non riuscirà a pagare la cifra pattuita. Chris acconsente, dando vita ad una spirale di sangue e violenza che non risparmierà nessuno.

La lenta trasformazione della vicenda da grottesca storia di una famiglia borderline incapace persino di tenersi le mutande dove dovrebbero stare (letteralmente) e che comunque tenta di organizzare un vero e propio delitto perfetto, in una tragedia Greco-Americana sul letale potere dei sentimenti e l'esplosione della violenza come risoluzione finale, ha del portentoso: il film diventa "altro" sotto i nostri occhi ma il coinvolgimento è talmente immersivo che lo realizziamo solo a visione finita.
Una nota per la scena della fellatio praticata su una coscia di pollo fritto, assolutamente geniale e profondamente evocativa.
Da vedersi.

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