Ma questo deja-vù, se in un primo tempo può farci credere che non ci sia niente di nuovo nel film di Stern, si dissolve presto nella visione generale della pellicola, basata non sul dualismo Jobs/Gates (come nel caso del film del 1999) ma bensì solo ed unicamente sulla missione della vita di jobs: fare in modo che ogni oggetto da lui creato fosse per la gente e arrivasse al loro cuore, diventando un vero prolungamento naturale del corpo umano, qualcosa di cui non poter più fare a meno, una volta scoperto.
Ma a parte questo modo di affrontare un icona soffermandosi sulla scomposizione geometrica del soggetto interessato, che può anche piacere da un punto di vista estetico ma lascia scivolare troppo significato dal costrutto del racconto, il film sa anche narrare la storia di un uomo ambizioso e decisamente fuori dagli schemi, così pieno di volontà creativa da sacrificare per essa qualsiasi spiraglio di felicità "facile", diventando un vero lottatore nemico dell'impossibile, una sorta di eroe moderno da cui imparare a non arrendersi mai davanti ai propri sogni, innalzandoli sempre a centro della nostra esistenza; e lo sa fare con un equilibrio e una struttura di ferro, che sanno appassionare e tenere viva l'attenzione dello spettatore attraverso le grandi contraddizioni di Jobs.
In conclusione la pellicola ha il solo difetto di indugiare eccessivamente sull'iconografia del mito di Steve Jobs, e nonostante questo difetto porti via parte significativa del messaggio che Stern avrebbe voluto far passare, questo riesce a palesarsi in parte attraverso un ottimo modo di narrare la storia di un uomo eccezionale che riposa tutt'altro che inerme sulle scrivanie, nelle borse, sui comodini e nelle orecchie di milioni di persone, e per sempre.
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