venerdì 21 febbraio 2014

MONUMENTS MEN di George Clooney; la memoria e il panino.

"Con la cultura non ci si prepara un panino": all'incirca con queste parole un Ministro dell'Economia della Repubblica Italiana di qualche governo fa diede la sua illuminante opinione sull'importanza della sfera culturale nell'economia italiana.
é inutile che dica a voi, lettori illuminati di cotanto blogger, quanto enorme fosse la cagata succitata.
La cultura non solo produce un quantitativo di risorse economiche immenso (non in Italia nonostante sia maggiormente concentrata, ma questo solo ed unicamente per colpa degli italiani), ma soprattutto costituisce un patrimonio che identifica un popolo e lo rende unico, distinto da tutti gli altri, inimitabile.
Tratto dalla vera storia di un gruppo di uomini (americani, inglesi e francesi) che durante gli ultimi giorni della seconda guerra mondiale contribuirono a salvare più di cinque milioni di opere d'arte dalle grinfie dei nazisti, l'ultima pellicola diretta e interpretata dal sempre più sorprendente George Clooney prende le mosse da un saggio di Witter-Edsel che consiglio a tutti, essendo una piacevole e interessantissima lettura, dove si racconta la vicenda dei Monuments Men, uomini dell'ambiente culturale americano e britannico incaricati dal governo degli Stati Uniti di rintacciare e preservare le opere d'arte minacciate dalla guerra e soprattutto dai furti sempre più frequenti dei nazisti, atti a completare quella che nella mente di Hitler sarebbe stata la più grande collezione d'arte di ogni tempo.
Il saggio da cui è tratto il film
L'abilità principale di Clooney nel dirigere questa storia ambientata nel periodo più cruento del secondo conflitto mondiale (lo sbarco in Normandia e tutta la lunga cavalcata alleata verso Berlino)  è stata quella di aver saputo trasformare un saggio molto dettagliato e dal taglio decisamente storico in una vera e propria avventura, prendendosi certamente alcune licenze poetiche e inserendo momenti di ilarità e umorismo molto americani, ma mantenendo sempre vivo il significato che già apparteneva all'opera originale e di cui ho parlato in apertura.
La regia è quella a cui Clooney ci ha abituato fin da Confessioni di una Mente Pericolosa, una regia fatta di tanta teoria filmica assimilata nei lunghi anni della carriera attoriale, amore per la narrazione pura e cruda, e tanta voglia di intrattenere, questa volta in modo molto più leggero (ma mai banale) rispetto a quanto succedeva negli ultimi due film da lui diretti (Good Night, Good Luck e Le Idi di Marzo).
Clooney si prende anche un notevole spazio all'interno della pellicola per indugiare sui campi lunghi e le atmosfere dei luoghi ricchi di fascino che le splendide scenografie ricostruiscono con un piglio molto spielberghiano (le miniere dove i nazisti stipano le opere d'arte ricordano tanto il finale di Indiana Jones e i Predatori dell'Arca Perduta), realizzando quella che a mio parere è la sua pellicola più marcatamente Hollywodiana.
Oltre a una prova attoriale splendida da parte di Clooney nei panni di George Stout (promotore dell'iniziativa dei Monuments Men) è impossibile non citare l'interpretazione regolata e sempre elegante di un Matt Damon (James Rorimer) in stato di grazia, ma soprattutto la geniale recitazione di un Bill Murray nei panni dell'architetto Rich Campbell, ridotta ai minimi termini ma assolutamente esilarante.
Un film da vedere assolutamente secondo il vostro amichevole cinepazzo di quartiere.



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